Di recente, quotidiani e i telegiornali si sono riempiti di titoli roboanti riguardo alla “de-estinzione” di una specie di canide scomparsa circa 10.000 anni fa: il “metalupo”, o dire wolf in inglese. Questo ha riacceso il dibattito sia sui reali riscontri scientifici nel tentativo di riportare in vita specie estinte – un tema molto caro alla fantascienza – sia sull’etica di alcune ricerche nell’ambito dell’ingegneria genetica, generando, come spesso accade in questi casi, anche molta confusione.
Ma cosa c’è di vero in questa storia? Facciamo un passo indietro.
I meta lupi: tra scienza e serie TV
Grazie all’enorme successo mediatico della saga letteraria e televisiva Game of Thrones, molti di noi hanno ormai un’idea di cosa sia un “metalupo”: un canide straordinariamente grande e potente, molto più imponente e forte dei comuni lupi grigi. Ma questi animali sono esistiti davvero? Ebbene sì, o quantomeno esisteva qualcosa di molto simile. I cosiddetti “metalupi” vissero realmente nel Pleistocene e appartenevano alla specie Aenocyon dirus. Erano diffusi principalmente nelle Americhe, fino a circa 10.000 anni fa. Negli ultimi anni, nuove ricerche hanno portato alla luce dettagli interessanti sulla loro storia evolutiva.
Dal punto di vista morfologico, somigliavano agli odierni lupi grigi (Canis lupus) e, come loro, probabilmente cacciavano in branco, soprattutto nelle vaste praterie nordamericane e — anche se in misura minore — in quelle asiatiche, dove la loro diffusione potrebbe essere stata ostacolata dalla competizione con le iene delle caverne. Una delle loro caratteristiche più notevoli era la forza del morso, sensibilmente superiore a quella dei lupi moderni.
Per molto tempo si è ritenuto che fossero strettamente imparentati con i canidi attuali, ma uno studio genetico pubblicato nel 2021 ha cambiato radicalmente questa visione. Secondo i dati emersi, infatti, Aenocyon dirus si sarebbe separato dal ramo evolutivo dei canidi circa 5,7 milioni di anni fa. Una divergenza così marcata che sembra avesse impedito loro di incrociarsi con le altre specie di canidi presenti nel continente. Questo isolamento genetico potrebbe aver rappresentato uno dei fattori alla base della loro estinzione. Nei genomi di lupi e coyote moderni, infatti, non sono state trovate tracce di DNA riconducibili agli enocioni, il che suggerisce che si trattasse di una specie strettamente endemica del Nord America. I progenitori degli altri canidi, invece, si sarebbero evoluti nel Vecchio Mondo e solo in epoche successive avrebbero colonizzato le Americhe. Quindi la somiglianza morfologica con i lupi grigi odierni è dovuta esclusivamente a una convergenza evolutiva e non a una stretta parentela genetica.
La Colossal Biosciences e i progetti di de-estinzione
A inizio aprile la società statunitense di biotecnologia e ingegneria genetica Colossal Biosciences ha annunciato sul suo sito internet di aver riportato in vita i metalupi. Così si legge: «Il 1° ottobre 2024, per la prima volta nella storia dell’umanità, Colossal ha ripristinato con successo una specie un tempo eradicata, attraverso la scienza della de-estinzione. Dopo oltre 10.000 anni di assenza, il nostro team è orgoglioso di restituire al metalupo il posto che gli spetta nell’ecosistema».
Con questo assunto l’azienda pubblica la foto di tre cuccioli di lupo grigio geneticamente modificati, Remus, Romulus e Khaleesi (una strizzatina d’occhio proprio alla serie Game of Thrones), sostenendo siano dei metalupi.
La compagnia è famosa per questi progetti che mirano a riportare in vita specie estinte, tra cui il mammut lanoso (Mammuthus primigenius) e il tilacino (Thylacinus cynocephalus), di cui avrebbe già sequenziato il DNA completo (e il cui RNA è stato sequenziato nel 2023 da un gruppo di ricercatori scandinavi). Non molto tempo fa, la stessa azienda aveva annunciato di aver compiuto progressi significativi nel progetto dedicato al mammut, grazie alla creazione dei cosiddetti “topi lanosi”, ovvero roditori geneticamente modificati per sviluppare una pelliccia lunga, riccia e bionda che ricorda quella dei mammut rinvenuti nel permafrost.
Tuttavia, rimane poco chiaro se le stesse cinque mutazioni genetiche applicate ai topi produrrebbero un effetto analogo se introdotte nel genoma di elefante asiatico, specie da cui si vorrebbe partire per de-estinguere i mammut.
I dubbi del mondo scientifico e l’analisi del DNA antico
Quello che appare invece chiarissimo è che a questi annunci non segue mai la pubblicazione di un paper che permetta alla comunità scientifica di esaminare in modo trasparente e dettagliato né i materiali e i metodi utilizzati negli studi, né i risultati ottenuti. Esperti ed esperte di genetica sono piuttosto scettici riguardo agli esperimenti condotti da Colossal. Sequenziare un genoma completo non è affatto un’operazione banale. Solo di recente, per esempio, è stato completato il sequenziamento del cromosoma Y umano.
Quando si tratta di specie estinte, inoltre, ci si trova spesso davanti a lacune significative. Il DNA, infatti, subisce un degrado post mortem che è direttamente proporzionale al tempo trascorso, anche in condizioni di conservazione eccezionali come quelle offerte dal permafrost siberiano. Di conseguenza, quando si tenta di sequenziare un DNA antico, ci si confronta con un genoma incompleto, danneggiato e contaminato da altri DNA. Il risultato ottenuto, dopo un lavoro complesso e delicato di campionamento, analisi di laboratorio, sequenziamento con strumenti di ultima generazione e successiva elaborazione bioinformatica, è un “testo” pieno di “parole mancanti”: un po’ come un libro a cui manchino interi paragrafi, se non addirittura intere pagine.
Per questo motivo è piuttosto improbabile riportare in vita specie estinte: integrare quelle lacune non è possibile, e non si può di certo improvvisare. È come pretendere di leggere e comprendere I promessi sposi privi di alcuni capitoli, pensando di poterli sostituire con brani de I fratelli Karamazov!
Cosa sono realmente i tre lupacchiotti
Fondamentalmente, Remus, Romulus e Khaleesi sono una grande operazione di marketing condita con un po’ di ingegneria genetica, come dimostra anche la foto promozionale pubblicata sul blog dell’autore di Game of Thrones, George R. R. Martin, con uno dei cuccioli. Per stessa ammissione della Colossal, questi cuccioli sono lupi grigi, geneticamente modificati con la tecnica CRISPR per assomigliare agli enocioni.
I ricercatori dell’azienda, infatti, utilizzando DNA antico estratto da reperti ossei di enocione, hanno identificato 20 modifiche genetiche chiave su 14 geni del lupo grigio moderno, che replicano caratteristiche morfologiche distintive del metalupo, come dimensioni maggiori, muscolatura più robusta e pelliccia bianca. Quindi no, nessun metalupo è stato riportato in vita.
Le implicazioni etiche
A prescindere dal fatto che la de-estinzione sia o meno realmente possibile, viene da chiedersi quali siano gli scopi reali di questi progetti. Dal punto di vista scientifico, l’esperimento è senza dubbio notevole. L’ingegneria genetica ha fatto passi da gigante e, innegabilmente, i tre cuccioli rappresentano il risultato di un livello di studio e approfondimento incredibili.
La Colossal sostiene che il proprio lavoro rappresenti un valido contributo alla conservazione delle specie a rischio di estinzione. Un esempio è quello della colomba rosata (Nesoenas mayeri) delle Mauritius, minacciata dalla perdita di habitat e da una riduzione della diversità genetica. Questa specie di uccello potrebbe beneficiare degli esperimenti dell’azienda statunitense per riportare in vita il dodo, poiché Colossal si sarebbe impegnata finanziariamente nel ripristino dell’habitat a Mauritius, in preparazione alla reintroduzione dei loro ibridi de-estinti di questo uccello scomparso. Inoltre, secondo gli scienziati dell’azienda, gli strumenti di editing genetico attualmente in fase di sviluppo per il dodo potranno essere impiegati anche per arricchire la diversità genetica perduta della colomba rosata.
I nodi da sciogliere, però, rimangono tantissimi. A cominciare da quello del benessere animale, per l’uso di madri surrogate, soggette a interventi invasivi spesso ripetuti, nonché per il futuro incerto degli ibridi, di cui nessuno conosce le sorti, nel caso in cui l’esperimento fallisse. Ci sono poi da considerare implicazioni, in larga parte imprevedibili, per la biodiversità. Non conosciamo le conseguenze dirette e indirette della reintroduzione di specie ormai estinte in ecosistemi contemporanei. Uno dei rischi, per esempio, è che un animale riportato in vita potrebbe comportarsi come una specie invasiva, alterando equilibri ecologici ormai assestati, oltre alla possibilità di trasferimento genico tra questi ibridi e le specie selvatiche (come avviene purtroppo tra cani domestici rinselvatichiti e lupi sul nostro territorio), andando a minacciarne la sopravvivenza. Inoltre l’attenzione mediatica, e di conseguenza i finanziamenti che ne derivano, sulla de-estinzione, potrebbero distogliere le risorse da progetti già in essere di conservazione delle specie in pericolo.
Gli interrogativi sono molti e l’impressione è che questo tipo di operazioni, ammantate di futurismo e narrazioni stile Jurassic Park, servano più a generare investimenti e visibilità che a contribuire realmente alla conservazione delle specie in pericolo. In un’epoca in cui migliaia di specie realmente viventi sono a rischio, e gli ecosistemi scompaiono a ritmi accelerati, destinare risorse alla “de-estinzione” suona non solo fuorviante dal punto di vista scientifico, ma anche eticamente discutibile. Ha davvero senso, oggi, con un tasso di estinzione delle specie stimato tra le 100 e le 1.000 volte più alto rispetto a quello naturale, rincorrere fantasmi del passato, quando non riusciamo a proteggere il nostro presente?