Pubblicato il 16/04/2025Tempo di lettura: 5 mins
Il metano è un gas serra circa 85 volte più potente della CO2 in termini di potere climalterante. Nonostante la sua vita media sia di una decina d’anni (mentre quella della CO2 è nell’ordine dei secoli), deve destare lo stesso preoccupazione: la sua concentrazione in atmosfera sta crescendo velocemente.
Legambiente ha per questo ideato MetaNO, un progetto per far luce sulle emissioni di metano generate dal settore agricolo, «al fine di una loro riduzione coerente con gli obiettivi a cui l’Italia ha aderito siglando il Global Methane Pledge, a margine della COP 26 tenutasi a Glasgow nel 2021».
Il Global Methane Pledge (GMP) impegna i 159 firmatari a ridurre le emissioni globali di metano di almeno il 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030, tramite piani d’azione – in 100 lo hanno completato o stanno lo già sviluppando, in 65 lo hanno implementato -, mobilitazione di investimenti per circa 2 miliardi, miglioramento del monitoraggio anche grazie a nuovi satelliti. L’Italia non è a buon punto, come ricorda Legambiente. I risultati sono riferiti prevalentemente «al settore energetico e industriale, dove si concentrano gli investimenti per ridurre le perdite di questo gas, e a quello dei rifiuti, in cui si è già fortemente ridotto il conferimento a discarica di rifiuti organici». Il GMP si concentra anche sui settori dell’agricoltura e dell’alimentazione.
Ecco da dove provengono le emissioni di metano che, ricordiamo, sono per il 60% di origine antropica.
Le regole previste dalla Commissione europea in materia, entrate in vigore ad agosto 2024, prevedono
- un miglioramento nella misurazione, nella comunicazione e nella verifica delle emissioni di metano del settore energetico;
- una riduzione immediata delle emissioni attraverso l’obbligo di rilevamento e riparazione delle perdite e il divieto di pratiche di ventilazione e flaring, che comportano il rilascio diretto di metano nell’atmosfera;
- un obbligo di trasparenza sul metano per le importazioni, con la raccolta di informazioni su se e come i Paesi/le aziende esportatrici misurano, comunicano e riducono le emissioni di metano, con l’obiettivo di definire un profilo di intensità di metano di tali entità.
Per altro, il metano è considerabile non solo gas serra (che trattiene il calore vicino alla superficie terrestre), ma anche inquinante atmosferico. Infatti, insieme alle emissioni da traffico stradale, come denuncia Legambiente è «la causa maggiore del temibile ‘smog fotochimico’ che si forma per azione dei raggi solari sulle sostanze chimiche presenti in atmosfera». Questo tipo di smog colpisce polmoni e tessuti vegetali ed è legato all’ozono, che si forma per l’appunto con l’interazione tra ossigeno e vari inquinanti (come il metano, che è il più abbondante tra quelli in atmosfera). Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente il metano è responsabile del 37% dei livelli di ozono misurati in Europa, causando solo nel 2022 danni alle colture per 2 miliardi di euro.
Legambiente ha organizzato un workshop a Milano, focalizzato sulla riduzione delle emissioni di metano nel settore agricolo nazionale. Come ha spiegato Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, «l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano richiede un aumento della sostenibilità del sistema agricolo nel nostro Paese», e in particolare «l’innovazione riguarda prioritariamente il settore degli allevamenti, in particolare nelle regioni in cui questa attività è più intensiva per numero di capi in rapporto al territorio».
In Pianura Padana le emissioni di metano sono molto più alte rispetto al resto d’Italia: si pensi solo che i due terzi dei bovini nazionali sono allevati in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Dopo una iniziale riduzione delle emissioni di metano legata alla riforma della PAC a inizio millennio, non si sono più avuti miglioramenti, denuncia Legambiente.
Come è noto, il metano da allevamento deriva dalla digestione dei ruminanti, per cui oltre all’ottimizzazione dei mangimi con specifici additivi non si può fare più di tanto. Poi ci sono i liquami zootecnici, fonte di emissioni anch’essi, su cui si può maggiormente agire: utilizzandoli per la produzione di biogas e biometano, che hanno il vantaggio di emettere meno gas serra rispetto ad altri combustibili tradizionali. Una volta prodotti, possono essere immessi tranquillamente nella rete del gas. Come spiega Di Simine: «La produzione di biometano e il suo utilizzo come fonte energetica alternativa al metano fossile è sicuramente il modo migliore per ridurre le emissioni degli allevamenti, ma deve essere “fatta bene”. Tra i requisiti di un trattamento efficace vi è il rigoroso controllo delle perdite e delle emissioni cosiddette fuggitive» perché, come avverte Di Simine, «anche piccole perdite di gas possono vanificare l’efficacia di questo processo».
Un ulteriore linea di intervento è quella che rientra nella “transizione agroecologica”, che promuove un ripristino dell’equilibrio tra allevamenti e territorio: un equilibrio, come afferma Legambiente, «stravolto da decenni di pratiche sempre più intensive e dalla massiccia importazione di mangimi, che permette di mantenere un numero di animali allevati molto più alto di quanto consentito dall’estensione delle terre coltivate a foraggere».
La rosa di soluzioni disponibili prevede anche l’attenzione a tutelare il reddito degli agricoltori, tuttavia non si può prescindere da una riduzione generalizzata del consumo di prodotti di origine animale, soprattutto nei paesi ricchi. «Occorre un coinvolgimento di tutta la filiera, inclusi i consumatori, chiamati a ridurre i loro consumi di prodotti di origine animale, ma allo stesso tempo a essere più esigenti, sia sul benessere degli animali allevati, sia sulla salubrità e sostenibilità dei prodotti del Made in Italy agroalimentare» conclude Di Simine.
È fatto noto e risaputo, del resto, che il settore alimentare è responsabile delle emissioni di gas serra mondiali soprattutto a causa dell’utilizzo di animali. L’ultimo report IPCC dedica infatti un intero capitolo anche al cibo e alle possibili fonti proteiche diverse da quelle animali; le proteine vegetali, tra l’altro, sono anche più salutari, riducendo la probabilità d’insorgenza di disturbi e malattie all’apparato digerente e non solo, tra cui alcuni tumori. Ci sono molti buoni motivi, quindi, per incoraggiare comportamenti e azioni volti alla riduzione delle emissioni di metano. Basta esserne consapevoli.
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